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Portfolio


Altri sguardi


di Fulvia Delfino
10 immagini - 1.05 mb
data di pubblicazione: 15 Ottobre 2008

luogo: campo nomadi a Roma


tags: bambini, campo, delfino, nomadi, roma, sguardi

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(8 commenti)
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Le fotografie sono state scattate nel campo nomadi di Via Candoni a Roma con il supporto dei volontari dell'Opera Nomadi a Roma e dell’agenzia fotografica Graffiti.

Sin dall'inizio l’attenzione si è focalizzata sui bambini e i loro sguardi, così straordinariamente intensi, espressivi di una forza e di una inquietudine che raramente si ritrova nei loro coetanei italiani.
Idealmente, è un invito a guardare oltre, a superare le difficoltà di comprensione e di accettazione, a leggere le differenze culturali attraverso la propria coscienza piuttosto che con gli occhiali dell’abitudine e del luogo comune.


Questa serie fotografica è esposta dal 8 settembre al 5 ottobre alla libreria Feltrinelli di viale Libia 186 a Roma.
La scheda della mostra per visitarla.


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Questa serie fotografica è esposta dal 8 settembre al 5 ottobre alla libreria Feltrinelli di viale Libia 186 a Roma.
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commenti
  Melanarni  [26 Ottobre 2008 - 19:16]
Il regista che ho citato è Jean Renoir, francese, fece cinema dagli venti, i suoi film furono molto innovativi per quei tempi e non a caso era amico di Henri Cartier-Bresson.
  Melanarni  [23 Ottobre 2008 - 16:52]
Ciao, non desidero commentare le foto. Solo un'osservazione che mi è stata insegnata dai photoeditor, quando si racconta con la fotografia non puoi farlo con l'intensità degli sguardi e basta, e o con pochi dettagli sullo sfondo, è come quando si parla di un problema, non puoi descrivere solo l'atto finale, devi raccontare sempre sto benedetto "il tutto", "quel tutto". lo sguardo è bello, d'impatto, ma poi? Non basta, non bastano piccoli particolari, "dimmi" altro, cos'altro c'è? Un regista francese degli ann40, non ricordo il nome, scriveva di lui, <<...al principio io m'innamoro di un volto e desidero raccontarlo, ma non posso pretendere che uno spettatore guardi per un'ora e mezza un volto e capisca la storia, devo aggiungere una sceneggiatura>> questa è la morale. Quando studiavo fotografia mi hanno insegnato a guardare i film per capire come poter racconatre con le immagini. Non sono entrata in merito al lavoro perchè capisco la sensibilità della fotografa e il suo impegno, ora dipende da lei dove vuole o desidera arrivare con la FOTOGRAFIA. A chi desidera rivolgersi.
  mototopo  [23 Ottobre 2008 - 16:25]
Ma certo che era chiaro ma era troppo forte il gancio per la battuta sulle nonne c'è da dire però, visto che siamo politically scorrect :-)  che le nonne che intendi tu non vanno in giro per mostre fotografiche ;-) (E' una battuata anche questa). Mi dispiaceva solo, dal tuo discorso, intendere la fotografia come una professione e ci sentivo odore di casta tutto qui. Il pubblico cui ci si indirizza non è fatto di soli tecnici ma la comunicazione deve saper arrivare a tutti. Il mio pensiero nasceva proprio dal fatto che attribuisco al fotografo la sensibilità che ora si evidenzia meglio dalle tue parole.
  SAndro  [23 Ottobre 2008 - 15:53]
Beh dai.
Io guardo anche dietro ai ritratti, si vedono un carrello della spesa, pavimenti scrosticciati, container come unità abitative. E' una contestualizzazione, non enfatizzata, ma c'è.

Il mio giudizio era sul modo di comunicare la dimensione di questo mondo, che io ritengo, dal mio personalissimo punto di vista, un po' superficiale e poco stimolante. La difficoltà è la comunicazione e queste fotografie non mi emozionano moltissimo proprio perchè non mi raccontano molto di più di quello che "ho già sentito dire". E' un'immagine quasi "consueta" e che poco si discosta dal reportage televisivo, che per sua natura è veloce e semplicistico.

Non sono contrario per principio ai ritratti dei bambini ma come ho scritto, c'è una maggiore difficoltà ad affrontare questo soggetto perchè ci si scontra con tanti lavori precedenti e tante foto già viste, rischiano la ripetizione e difficili confronti coi maestri. Bisogna quindi essere più bravi di quanto richiesto normalmente.
Ma il problema maggiore è che ci si scontra con un'opinione pre-formata che bisogna essere bravi a scardinare. E' un po' come le foto ai fiori, per esempio.

"Intensità degli sguardi".... mmmhh .... ci sarebbe da parlare molto su questo. Per intensità io intendo una forza nell'esprimere un significato profondo, il racconto di una storia e in questo caso la storia di una vita.
Ma come si fa a comunicare l'intensità? La storia la racconta lo sguardo o il fotografo? Basta scattare una foto ad uno sguardo intenso? E come fa uno sguardo a riverlarsi intenso?
Non sono domande con risposte scontate, ma sono le domande che dobbiamo porci e risposte che dobbiamo cercare quando scattiamo un ritratto.
Se non ci domandiamo (o non ci rispondiamo) rischiamo di fotografare le cose, non le storie.

x Simona: dato che tu sei stata nel campo nomadi, hai più informazioni di chi guarda le fotografie e giudica solo da quelle. E' chiaro che il tuo punto di vista sia "contaminato" da una maggior conoscenza, esterna alle immagini, ma un semplice osservatore si limita a vedere questo e la sua conoscenza e giudizio possono essere formati da quello che ha di fronte.

PS: le nonne si emozionano anche con le storie che racconta Emilio Fede....
E con questo ho toccato il fondo del politically scorrect :-)
Dai Motopo è per far capire il senso del mio pensiero, cerca di non limitarti alle parole. Era chiaro cosa volevo dire, suvvia.

Il fotografo ha una maggiore sensibilità e un'abitudine alla foto rispetto a chi si trova meno spesso a guardare e criticare le immagini. E' sicuramente un osservatore più pretenzioso e difficile da conquistare (ui il mio riferimento alle nonne che si conquistano più facilmente), ma questo non significa che non sia "romantico" o passionale, anzi spesso i fotografi si emozionano e vedono "qualcosa" dove i non fotografi passano di sfuggita.
Una foto ben fatta è un punto di partenza e non di arrivo per un fotografo.
O cavolo... sto diventando filosofo ;-)
  mototopo  [23 Ottobre 2008 - 11:56]
Ho visto la mostra dal vivo.. sono stato uno dei primi visitatori e tutto trasmettono quegli sguardi meno che l'idea di pietà  Vedo piuttosto, e sono d'accordo con Simona, bambini curiosi, e soprattutto giocosi. La cosa che non vedo per esempio sono gli sguardi innocenti. E proprio il contrasto di sguardi già grandi, di occhi già segnati da una realtà che poco avrebbe a che fare con l'infanzia, incastonati in visi di bambino che da la forza all'intero reportage. Sono un semplice appassionato ma non capisco che significa la noia del fotografo di professione. Spero (forse perchè il mio stato di appassionato vede del romanticismo nel fotografare) che la professione non impedisca al fotografo  di apprezzare cose ben fatte anche se qualcuno le ha gia fatte prima anche perchè dubito che esistano al mondo scatti uguali visto che diverse sono le sensibilità (cartoline a parte).
P.S.
Se le nonne sapessero che i fotografi non vogliono più farle commuovere penso se ne avrebbero molto a male comunque ;-)
  Simona8  [23 Ottobre 2008 - 09:58]
mi dispiace ma non condivido ciò che è stato scritto da sandro. conosco bene questi scatti, e conosco i bambini di questo campo... è stata per me un'esperienza bellissima, e queste foto riescono perfettamente a trasmettere ciò che abbiamo vissuto. come ho spesso ritrovato nei bambini che vivono nel "sud" del mondo, anche in questi la cosa che più colpisce è il loro sguardo, così vero e così profondo... sono bambini che vivono una vita non facile, ma proprio le loro difficoltà li fanno crescere e dimenticare la propria infanzia troppo presto. ma nello stesso SONO SEMPRE BAMBINI, a cui piace giocare, scherzare, mettersi in mostra... cosa che sono riusciti a fare durante le nostre "visite"... questi scatti sono VERI, raccontano un pezzo di questi bimbi, non ci vedo patetismo, nè degrado o sporcizia... questo non vuole essere un reportage sulla vita nei campi nomadi, nè vogliono essere semplici foto di bambini... quello che fulvia vuole trasmettere è proprio l'intensità dei loro sguardi attraverso la quale si legge tutto quello che c'è dietro...
  fulvia  [23 Ottobre 2008 - 00:01]

Ti ringrazio molto per il tuo commento ma, sinceramente c’è qualcosa che mi sfugge.

Non capisco dove hai letto i visi sporchi (escluso quel bimbo che divora le sue patatine come farebbe al suo posto chiunque) e l’ambiente fatiscente….questo si che mi sembra semplicemente un luogo comune. Per poter parlare di reportage i miei scatti devono essere ambientati nel luogo, ecco perché vedi nello sfondo i container in cui loro vivono. Non mi sembra e mi dispiacerebbe pensare che dalle mie foto si possa evincere una condizione di degrado.

Come forse ti avevo anticipato, insegno già da parecchi anni in una scuola statale in cui sono state aperte le porte ai bambini rom, quindi nel quotidiano li ho come alunni e nel mio piccolo cerco di integrarli con i bambini italiani (cosa peraltro alquanto difficile) come si conviene ad un “educatore”.

Come già anticipato in apertura l’intento è focalizzare l’attenzione di chi guarda sull’intensità degli sguardi, espressivi di una forza interiore e di una inquietudine che raramente si ritrova nei coetanei italiani. E’ possibile che tu abbia mal interpretato queste parole? Parlare addirittura di “patetismo” mi sembra forse eccessivo. Considera che il mio obiettivo è esprimere la loro semplicità, il loro essere comunque bambini, qualcuno ha scritto guardando la mostra (cito testualmente…credimi in parola) ”siamo venuti a vedere i tuoi scatti insieme ai nostri bambini…gli sguardi e le espressioni evidenziano tante differenze, ma soprattutto molte cose in comune”.

I bambini, qui non posso contraddirti, sono un tema “sfruttato” fotograficamente a tutte le latitudini, questo però non implica che non possano più essere guardati.

Io ho provato per quelle ore passate al campo, a giocare un po’ con loro, ho volutamente fotografato con un obiettivo 18-55 e non un tele proprio per essere vista, per essere lì presente tra loro, per non guardare come spesso si fa da fuori, evitando però rigorosamente di fotografarli in posa per me.

Spero di essere riuscita, almeno con le parole, a descriverti le sensazioni che stanno dietro questi scatti.

Ti ringrazio dei consigli.

Fulvia

  SAndro  [22 Ottobre 2008 - 17:12]
Le foto sono belle, non c'è che dire. Sopratutto la prima è notevole e forse basterebbe per raccontare tutto il resto (dopo mi spiego meglio).
E dimostrano quanto vicino sei andata a questi bambini e al loro ambiente.

Però non posso farti solo complimenti :-), chissà quante persone te li hanno fatti, considerato che le fotografie erano pure in mostra a Roma.
Allora cerco di andare un po' oltre e analizzo quello che secondo me non mi convince. Magari è un punto di vista che può interessarti, anche per gli sviluppi futuri del lavoro, o comunque rimane un punto di vista molto soggettivo.

I bambini e i loro volti sono un classico della fotografia. Un classico talmente classico che commuove le nonne ma che rischia di annoiare chi di fotografia vive tutti i giorni (o qualche giorno a settimana :-)
E' un soggetto difficile da trattare, perchè, come in questo caso, sento una vena di patetismo per la condizione di questi ragazzini, il loro sporco sul viso, l'ambiente fatiscente e i sorrisi innocenti, sanno di già visto e non ci raccontano molto di nuovo rientrando in quell'immagine globalizzata che ci forniscono la televisione e i giornali.
E' questo il suo grande limite, il non riuscire a dare un punto di vista personale, ma un punto di vista di tutti.
Forse solo la prima foto basterebbe a raccontare tutto della tua esperienza nel campo nomadi. La sento più incisiva, forte.

Le immagini sono esteticamente gradevoli ma si spengono nell'impossibilità di comunicare davvero da dentro e non solo da "vicino".

E' un punto di vista molto personale. Sono stato troppo duro? :-)



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