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Danza del fuoco a Sokodè


di Antonio Ulzega
14 immagini - 2.43 mb
data di pubblicazione: 3 Giugno 2014

luogo: Togo
periodo: marzo 2014


tags: africa, danza, fuoco, togo, ulzega

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396 preferenze  vota

(5 commenti)
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commenti
  melisendo  [30 Giugno 2014 - 14:22]
Questo è uno degli aspetti più dibattuti nell'approccio al reportage: quale e quanto spazio dare al contesto e quanto invece entrare nello spazio ristretto dei personaggi che si muovono nella scena, fino ai dettagli che possono implementare la comprensione dell'azione.

A mio avviso non ci può essere una formula, un protocollo standard da seguire:
certamente il grandangolare in tante situazioni è importante, e da parte mia posso fare l'esempio del reportage "Cerimonia religiosa a Cavà" dove appunto ho usato il grandangolo per l'ambientazione ed altre focali per la descrizione dei singoli eventi;

diversa è la situazione quando le condizioni ambientali ti portano ad una scelta obbligata; 
così è stato a Sokodè: in un villaggio privo di illuminazione artificiale, intorno alla mezzanotte, con un cielo nero senza luna, nel buio totale un piccolo fuoco per incendiare i legni usati per la cerimonia, vedi appunto foto 3, e poi solo le luci delle fiamme sui volti del personaggi.

Il grandangolo, con ISO altissimi, avrebbe dato vaghe ombre con fiammelle vaganti o, come nel caso delle braci in bocca, solo buio; da qui la scelta di riprendere volti, braccia, mani che rappresentavano il fulcro ed il fine del racconto.

Forse è qui fuorviante la dizione "danza" che comporta una coreografia estesa e movimenti più ampi dei personaggi, ma così chiamano questa cerimonia con i personaggi che operano singolarmente, uno alla volta, praticamente stando fermi: il fulcro della "danza" è il loro volto, nelle sue diverse espressioni, le mani, le braccia, i tizzoni roventi. 
  

  SAndro  [30 Giugno 2014 - 12:12]
Molto interessante il tuo commento, Kruger. Pone una questione importante nell'impostazione di un reportage. Mi trovi d'accordo sull'approccio che dovrebbe avere un fotografo di National Geographic, per citare il magazine più conosciuto, o comunque un documentarista. La scelta qui è diversa e forse la mancanza del contesto si fa sentire se si pensa alla componente di documentazione e descrittiva, mancherebbe dunque completezza.
Se ne sente meno la mancanza se si vuole dare un punto di vista avulso dal contesto, riportando il racconto del rito ad un livello ancestrale e scollegato dalla contingenza.
  kruger  [27 Giugno 2014 - 14:40]
Avere l'opportunità ,che hai avuto, di partecipare a questi riti è un evento che onestamente ti invidio. Da vecchio africano ne ho visti diversi ma non di questo tipo. Per me l'impostazione di reportage in situazioni del genere,  ( realizzati negli anni 70  i cui supporti sono andati, purtroppo, in parte persi o danneggiati ) è stato  quello di usare prevalentemente grandangolari, anche  spinti, che mi permettevano di far entrare l'osservatore nella scena allargata del rito. Questo concetto non è ovviamente personale  ma nasce dal pensiero di grandi fotografi di reportage.L'ho ritenuto corretto e l'ho fatto mio.  Ovviamente ci si doveva trovare vicini e coinvolti, ma tu sai che se ti hanno fatto assistere , vuol dire che avresti potuto anche muoverti con una certa prudente libertà. Queste foto le considero, per quanto detto, più come una serie di ritratti , certamente impressionanti e realistici , piuttosto che un reportage su una ritualità. L'unica foto che fa intuire qualche cosa del contesto è la 3.
  Christian  [14 Giugno 2014 - 00:10]

Impressionante davvero! Non avendo mai visto dal vivo nulla del genere, queste foto mi richiamano alla mente ciò che di più simile ho letto: alcuni libri del grande scrittore scomparso pochi anni fa, Chinua Achebe, purtroppo non più stampati in Italia ma ancora reperibili in biblioteca: la trilogia 'dove batte la pioggia' composta da 'Il crollo', 'La freccia di Dio' e 'Ormai a disagio'

Questo reportage e quello precedente che hai pubblicato, con maschere e feticci richiamano proprio quell'Africa antica e i suoi rituali remoti, che credevo persi, ma evidentemente sono ancora in uso da qualche parte. Una fortuna averli visti da vicino!

  SAndro  [8 Giugno 2014 - 20:45]
Questo reportage è così bello e interessante che otrebbe far parte di un numero di National Geographic. Ci racconta con immagini molto ravvicinate una pratica bizzarra e primitiva, portandoci fin nel cuore di un'Africa che conserva riti e tradizioni. Sono tutti ritratti, il paesaggio è nascosto in un'oscurità tenebrosa dove solo il fuoco fornisce un'illuminazione quasi sufficiente a impressionare la superficie sensibile fotografica.



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