Lo scopo principale del mio viaggio era un reportage fotografico in un paese definito ad alto tasso di religiosità.
Volevo documentare le vedove di Vrindavan, le palestre dei lottatori di Varanasi, la morte come ineludibile serena realtà, i concerti e le scuole di musica, i colori dei sari, delle strade e dei muri scrostati.
Per meglio prepararmi mi ero spinto a rispolverare vecchie letture e ad attingerne da nuove, consentendomi anche fugaci occhiate dietro al pesante tendaggio del sacro. L'India mi si è visualizzata come un enorme brulicante formicaio umano dove ognuno si porta dietro la memoria di una moltitudine di divinità: Panteon forse troppo sanguinolento, insensibile osservatore esterno, cieco, incurante o impotente davanti alle umane vicissitudini ma presente ed abbarbicato, nei colori e negli odori, in ogni angolo di strada.
A consuntivo del viaggio, oltre alle scontate considerazioni olfattive, rimangono indelebili le miserabili condizioni dei vecchi e delle donne, e su tutte quelle delle vedove abbandonate o sfruttate. Questo è il sistema religioso dove la pietà non esiste, dove la compassione non è vocabolo conosciuto dove ogni disgrazia umana, fisica o di status sociale, è correlata a qualche comportamento delittuoso commesso nelle precedenti vite. Questo sistema l'ho visto nelle bruciacchiate cataste fumanti in un contorno di grigio sporco perenne. Non riesco evidentemente ad amare questa India, non riesco a capire come una religione fondata su mitologie fantasiose e terrifiche possano conservare un attaccamento così viscerale con i fedeli. Altri occidentali vi vedono il mistico e il mistero, pronti ad esserne catturati, quando invero in un convento francescano troverebbero ben altri valori di amore universale che qui latitano. Questi sadu puntano a raggiungere la conoscenza ed a salvarsi dalla rincarnazione, pensando alla loro situazione e lasciando ben poco per gli altri.
Ed ecco, d'incanto, tra la moltitudine avanzare gli impavidi avanzi dei figli dei fiori, perduti in India, sdraiati nel pattume con l’occhio non più vivo, abbigliati come nessun stravagante indiano farebbe mai. Una tristezza infinita ed una incommensurabile incomprensione.
Questi mistici trascurano il fatto che Dio è tutto fuorché mistico. Kraus
La scelta del B&W, è stata in primis una sfida controcorrente ai colori fantastici ovunque presenti e in seconda battuta ho ritenuto il bianco e nero la rappresentazione grafica che meglio si correla alle emozioni che l’India mi ha trasmesso.
Una nota sul diritto alla privacy.
Quando si fotografa in luoghi esotici come l’India, dove l’umano è il soggetto che più attira l’obiettivo possono sorgere delle riserve mentali sul corretto approccio con il quale il fotografo occidentale vi si relaziona.
Ero partito con l’intenzione di fotografare le vedove di Vrindavan e la loro desolante esistenza ma quando mi sono trovato calato in quella terribile realtà mi sono sentito come un profanatore di umane disgrazie. Ed allora, come in altre occasioni simili, ho rinunciato non trovando sostenibile fotografare situazioni disperate. In altri casi, meno duri, ho chiesto il consenso con la splendida mediazione della mia guida.
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