La società odierna impone di rimuovere le anomalie e di dimenticare le dure realtà e le mostruosità che la stessa società crea. Ciò che è cruento destabilizza, crea caos, disordine. L’orrifico, la solitudine, la morte, sono una sorta di ignominia del genere umano, sono pericoli incombenti, sono forme irrazionali che non possono dominare.
In America, negli anni venti, Walker Evans e Dorothea Lange registrano per il governo la catastrofe economica del 1929, con immagini di una durezza mai prima viste. Ma solo con Diane Arbus il dolore,l’angoscia,il mostro, esce in pubblico. Le sue opere appaiono alla biennale di Venezia del 1972 come un pugno nello stomaco in un contesto che non aveva ancora gli anticorpi per sostenere il “diverso”. La Arbus è in anticipo su tutta una schiera di artisti, fotografi, performer, come Mapplethorpe, Serrano, Athey, Pane, fino ad arrivare agli estremi di Witkin.
Oggi è difficile nella fotografia ripercorrere strade che non siano già state ampiamente percorse. Ma il tema della presenza ineliminabile della morte è sempre attuale ancora di più del diverso e del brutto. Ci si sforza di dimenticarla, occultarla, relegarla nei cimiteri, nominarla solo per perifrasi, oppure esorcizzandola riducendola a semplice elemento di spettacolo, grazie al quale si dimentica la morte propria per divertirsi su quella altrui.
Nel medioevo la morte appare come qualcosa di doloroso ma familiare,una sorta di personaggio fisso, talvolta burattinesco,nel teatro della vita.
Bisognerebbe recuperare in questa nostra società drogata un “memento mori”. A Roma, durante il trionfo dei condottieri vittoriosi, un servo stava sul cocchio accanto al celebrato con il compito di ripetergli continuamente “ricordati che sei un uomo e che dovrai morire”.
Queste immagini sono come un viaggio “medioevale” che non vuole l’esorcizzazione della morte ma semplicemente darle la dignità ineludibile che le è propria e che è a noi connaturata.
Note tecniche
La base soggettiva proviene da un reportage sulle mummie della Cripta del Convento dei Cappuccini di Palermo. Le ambientazioni sono diverse ma con caratteristiche tali da essere verosimili. Alcune di queste sono analogiche.