La vegetazione folta rende la selva oscura e misteriosa; i popoli che l'hanno abitata ne conoscevano i segreti. Ospite di alcune comunità Yanesha discendenti di quelle antiche società, trovo ora solo i resti delle lontane tradizioni. Il Matapalo è l'ultimo anziano di una foresta secondaria, che nasconde spesso un sottobosco coltivato a caffè. L'albero Tangarana non spaventa più colpevoli. L'hayauasca non sa più dare risposte e la cushma, l'abito tipico, si indossa ormai in poche occasioni o in presenza di rari visitatori. Cerimonie e rituali sacri giungono a noi come frammenti di un mondo che fu. Le tradizioni non sono più tali, ma solo un modo per dire: veniamo da lì; ma, appunto, ora siamo altro. L'identità di un popolo si è sciolta, trascinata via in fiume più grande di quanto le piogge invernali abbiamo mai creato, il rio della modernità.
Poche migliaia di persone sparse tra diverse comunità, in bilico fra usanze remote e nuovi bisogni materiali. Alcuni resistono, aggrappati ai ricordi, a ciò che resta della propria cultura e di quel sapere che si apprende con l'esperienza, vorrebbero però vedere i propri figli stare al passo con i tempi. Il futuro è una difficile coesistenza: la speranza di non perdere l'identità ed un progresso inevitabile e forse necessario.
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