RecensioniANTI-FOTO. Ignani: "E ora fotografo il dito che indica la luna…"
Devo dire la verità: ieri sera, all’inaugurazione della mostra al "Bacco e Daguerre" (come dire "vino e fotografia) la sorpresa è stata grande. Dino Ignani come fotografo lo ricordavo, per uno scherzo della mia memoria selettiva, molto "naturalistico", anzi attaccato testardamente, ossessivamente, a certi minuti particolari da osservatore scientifico del 700, come le variazioni sulle contorte venature degli ulivi millennari della Sardegna, regione che lui ama, o le agavi appuntite e spinose, oppure disincantato osservatore di varia umanità, per lo più con una curiosa tendenza all’eccentrico e al diverso. Ma anche con i suoi paesaggi stralunati e le fotografie di reportage dal taglio sociale o antropologico con i suoi tipi umani, donne, soprattutto, ma anche vecchi scolpiti nel legno, starei per dire. E sì, perché Dino Ignani fotografa a colori, ma come tutti i veri artisti "pensa" in bianco e nero.
Tutto, però, mi potevo aspettare tranne che un’intera sua esposizione dedicata ad una provocazione sottile e inquietante: l’arte che riprende se stessa mentre viene osservata.
Inutile citare Duchamp o Breton, oppure l’intera schiera di surrealisti, avanguardisti, o i vari fotografi teorici dell’anti-fotografia. Qui direi che Ignani gioca finalmente sulla scommessa intellettuale del conflitto "foto-nonfoto" parteggiando allegramente per la seconda opzione, e relegando la fotografia al momento servile, ironico, della fruizione dell’opera, per di più altrui.
Instancabile frequentatore di mostre fotografiche, l’autore ha ripreso senza farsi notare gli osservatori nel loro osservare, quindi messi a nudo, insomma il pubblico a tu per tu con l’Opera. E ha scoperto così i veri protagonisti. Spesso piccoli-piccoli davanti ad un’opera semanticamente grande-grande. Ma qualche volta, all’opposto - ecco la sorpresa nella sorpresa - grandi-grandi davanti ad un’opera piccola-piccola, cioè di gran lunga più interessanti fotograficamente dell’oggetto stesso che stanno osservando. E nell’incertezza, nell’ambiguità dei due piani visivi sovrapposti in prospettiva si gioca la dialettica iconoclastica di Ignani, la sua cattiveria creativa, segno di intelligenza. Demistificazione e ironia in cui sguazza con apparente grande godimento. Di fronte a tanti mediocri "laudatores" di banalità, insomma, gente che fotografa la luna, Ignani capovolgendo e portando dalla sua parte il noto aforisma, fotografa "il dito che indica la luna".
Visti al vernissage, il critico Diego Mormorio, la giornalista culturale Linda De Sanctis (che hanno firmato le note di presentazione di sala), la storica d’arte contemporanea Rossana Buono dell'Università di Roma 2, l'organizzatrice di cultura Noa Bonetti, fotografi, attrici, registi, pittori e amici. Dal 12 al 26 aprile (fino all'una di notte), "Vernissages" di Dino Ignani, al Bacco & Daguerre, via N. Ricciotti 6 (piazza Mazzini), Roma
Nico Valerio
Ogni vernissage è un evento perché segna un incontro importante, quello dell'opera d’arte con lo spettatore. E’ un momento magico in cui può nascere in chi guarda l’emozione di riconoscere qualcosa di comune come un sentimento, o uno stato d’animo, oppure perché può esserci la sorpresa di scoprire qualcosa di assolutamente mai pensato che genera meraviglia, stupore, o magari anche il rifiuto per una sensazione troppo forte difficile da accettare. Può anche non succedere niente perché l‘artista non ha saputo comunicare o lo spettatore era distratto. Rimane sempre la suspense dell'incontro e la curiosità di scoprire cosa succede.
E' quello che da tre anni appassiona Dino Ignani, e che ha fatto nascere il tavoro "Vernissages". Le fotografie di Ignani raccontano questo specialissimo incontro tra arte e spettatore. Per cogliere questo momento Ignani si fa discreto, usa una macchina compatta perché non vuole disturbare lo spettatore. Vuole solo cogliere quel rapporto intimo e evocarlo. Nascono cosi immagini “silenziose” e “intime” che non parlano cioè della confusione della serata, della mondanità, del chiacchiericcio, ma dicono dello stupore, della sorpresa, dell’indifferenza. Spesso le tele, nelle immagini di Ignani sovrastano lo spettatore lo inglobano in loro, altre volte nei ritratti che combaciano con il volto detto spettatore rivelano un rapporto da pari a pari: due sensazioni magiche: è il potere dell’arte.
Linda De Sanctis
Fra le ricerche che, nel panorama italiano, possiamo considerare fra le più interessanti vi è quella che Dino Ignani ha compiuto nel corso degli ultimi quattro anni. Le immagini di questa ricerca sono state da lui raccolte sotto il titoto di Vernissages per via del fatto che esse sono state realizzate durante le inaugurazioni di mostre (soprattutto fotografiche). Ma, naturalmente, il tema non è affatto quello dei vernissages quanto tout court quello del linguaggio fotografico. In queste fotografie di Ignani, il visitatore della mostra diventa parte delle fotografie che sta guardando: entra in esse. In tat modo, il fotografo rende evidente un aspetto fondamentale della fotografia: la sua natura illusionistica fondata sulla meccanizzazione della rappresentazione prospettico-matematica. Nel suo interessato e divertito vagare per mostre fotografiche, Dino Ignani cerca, riuscendoci bene, di inglobare nelle sue immagini lo sguardo di altri fotografi e la presenza spesso ignara del pubblico. Mischiando l’altrui con il proprio egli fa convivere il prima con il dopo e il vicino con il lontano. Si tratta di immagini spesso motto belle, ma che al di là della loro bellezza hanno, come dicevo, il compito di parlarci del linguaggio della fotografia.
Diego Mormorio
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