la chiesa di San Giovanni
Ho sempre amato l'architettura razionalista di
Giovanni Michelucci, mio compaesano pistoiese. Oltre alla cosiddetta chiesa dell'
Autostrada del Sole (perché all'incrocio tra l'autostrada del sole A1 e la Firenze-Mare A11 e costruita per celebrare l'immensa opera di collegamento tra Milano e Roma), è conosciuto per la splendida
stazione ferroviaria di Santa Maria Novella di Firenze.
A differenza del
portfolio di Adolfo Straziati, ho voluto qui dedicare tutta l'attenzione al disegno e celebrare le forme flessuose dell'esterno, la complessa superficie di copertura svolazzante come un velo, gli arditi accostamenti di basamento e pietra, gli spigoli vivi, i pilastri a forcella e le aperture dell'interno.
Il progetto risale agli anni '60 e ha incontrato fin da subito una particolare attenzione della critica, fatto inconsueto per un'opera di architettura contemporanea. Si son succedute lodi e critiche, ne riporto qui sotto le più significative, che dimostrano la complessità del progetto di Michelucci e la difficoltà realizzativa.
Personalmente la ritengo uno degli migliori esempi di architettura religiosa del novecento, non facile ma ricca di simboli, idee e slanci poetici.
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Ponti e Koenig (1964, 1968) la elevano a capolavoro assoluto dell'architettura del Novecento, seppur con diverse motivazioni, esaltandone il valore plastico e l'alto portato religioso; il primo ne loda la sapiente sintesi tra tecnologia ed artigianato che la rendono ad un tempo antica e moderna, mentre il secondo ne sottolinea l'originalità ed il vigore plastico di matrice espressionista, definendola la più importante opera architettonica italiana degli anni sessanta, sintesi spaziale estrema di spazio architettonico e scultoreo. Meno iperbolici, ma ugualmente positivi, risultano in generale i giudizi formulati tra gli anni sessanta e settanta: mentre Zevi (1964) da una parte riconosce all'edificio una forza profanatrice di ogni atteggiamento tradizionale - seppur sotto la dipendenza dall'effetto traumatico di Ronchamp e da quella vena espressionista che schiaccia e deforma lo spazio - ed una percorrenza e fruibilità totali, e dall'altra ripropone in parte il dubbio di Portoghesi sulla non perfetta coerenza tra schizzi ed esecuzione, Figini (1964) offre una lettura ad ampio raggio dello spazio, cogliendone giustamente gli aspetti di "anarchia controllata" e problematicità spaziale nonché il riferimento agli elementi naturali, tema centrale della poetica michelucciana, rifiutando l'etichetta di "informale" o "esistenziale" per un'opera tanto complessa, oscillante fra l'eccesso, la ridondanza delle soluzioni spaziali e formali proposte e l'incontestabile forza del messaggio sacro." (fonte:
Wikipedia)
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