Secondo appuntamento espositivo per il progetto “
DOCUMENT NOW 2009” promosso da Le Monelle, il reportage realizzato dal fotografo Gabriele Rigon “
People from Kabul / Gente di Kabul” presenta una veste inedita del fotografo italiano Rigon. Riconosciuto da tutti come uno dei fotografi glamour più importanti del settore, Gabriele Rigon svela al pubblico un altro aspetto del suo mondo fotografico sino ad ora lasciato in disparte perché legato al suo lavoro per l’esercito italiano. Infatti questo reportage fu realizzato nel 2006 durante una delle missioni a cui il fotografo ha partecipato per l’esercito italiano come elicotterista.
L'esperienza nelle parole dell’Autore: «La prima volta che arrivai a Kabul era maggio del 2006, ricordo ancora quando la rampa del C 130 “Ercules” si abbassò e venni investito da un vento caldo e sentii la polvere entrarmi in bocca ed infilarsi in ogni piega della mia pelle. I primi due giorni furono condizionati da un gran mal di testa ed un torpore causato dalla quota, Kabul si trova a 1800 metri di quota, circondata da montagne con la cima innevata che raggiungono i 6000 metri di altitudine.
L’Afghanistan, un paese ai confini del mondo dove le date non esistono, dove il tempo è rarefatto e brevi tragitti che diventano peregrinazioni di giorni interi. Kabul, capitale dell’Afghanistan dal 1776, è una città di 4 milioni di persone, una città dalle origini antichissime, 3500 anni di storia, da sempre importante crocevia d’interessi commerciali e geopolitici per il controllo dell’Afghanistan.
Nell’ultimo secolo di storia la città non ha mai conosciuto un periodo di pace, in particolare da quando l’Afghanistan diventa Repubblica nel 1973, Kabul ha conosciuto un periodo di duri conflitti tra le diverse fazioni determinando la migrazione di numerosi profughi verso il confinante Pakistan; inoltre le incessanti tensioni sociali, politiche e religiose dovute principalmente dall’instaurazione del violento regime talebano, avvenuto nel 1996, continuano ancora oggi a lasciare profonde tracce nel paese. Nel 1996 i Talebani conquistano Kabul imponendo la legge coranica, instaurando un governo provvisorio e costringendo alla fuga il presidente Rabbani; nel 1997 proclamano l’Emirato islamico; nel 2001 avviano una campagna iconoclasta volta a sopprimere ogni segno del passato islamico del paese e nell’ottobre dello stesso anno il regime talebano diviene oggetto di un attacco militare da parte degli Stati Uniti, in quanto ritenuto responsabile degli attacchi terroristici dell’undici settembre alle due Torri Gemelle e al Pentagono; nel dicembre dello stesso anno il governo talebano si è arreso.
Attualmente la città soffre delle ferite inferte dalla guerra e la vita cittadina stenta a trovare una parvenza di normalità. Tuttora a Kabul non esistono strade, non ci sono fogne, è una città senza acqua e senza elettricità, c’è sempre il vento che solleva nuvole di polvere gialla che avvolgono l’intera città. A Kabul ci si abitua presto a scene di ordinaria miseria, di bambini con il volto corroso dalla lesmaniosi, che si lavano dentro una pozzanghera di fango alta un metro, persone che si mettono a fare i bisogni sul ciglio della strada, mendicanti che si attaccano alla tua macchina per avere elemosina, bambini che si picchiano per strada. Non ho mai incrociato lo sguardo di una donna, qui loro occupano solo lo spazio del burqa, loro colorano di blu le strade come parti di cielo che qui, a 1800 metri, splende come non mai! Camminano veloci, fanno compere, hanno quasi sempre bambini con sé. Il vento fa ondeggiare le stoffe disegnando i contorni dei loro corpi. Qui le donne continuano a fare una vita completamente segregata. Il loro compito è quello di fare figli, cucinare e occupare fisicamente lo spazio domestico. Eppure Kabul è una città maledetta e affascinante, così particolare, ci s’immerge in un’immensa folla di gente, si osservano gli occhi sgranati dei bambini senza capire a cosa pensano, ma così espressivi e profondi! Loro hanno visto la guerra, hanno assistito alla distruzione di tutto ciò che per loro è vita… ed ora sognerebbero la rinascita, la ricostruzione.
La polvere che senti tra i denti quando si cammina per le strade sterrate, il traffico incontrollato di bici, auto, pulmini e carretti, gli aquiloni sempre presenti in ogni scorcio di cielo della città, i colori pastello dei paesaggi ed è solo uno il colore che manca, che non c’è, che a Kabul non esiste… il colore verde dei prati. Io ho avuto la fortuna di vivere Kabul, di rimanerne affascinato, le foto di questo reportage le scattai per me stesso, appunti di viaggio che servono a ricordare, ed ora, a distanza di tre anni, ho deciso di pubblicarle.»
(Gabriele Rigon)
Testo e immagini tratti dal comunicato stampa ufficiale.
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