Guido Sartorelli, pur avendo fatto della discrezione la propria cifra personale, è un artista fra i più presenti e continui in città nonché in una lunga serie di mostre personali e collettive di carattere nazionale e internazionale.
Le sue prime esposizioni risalgono agli anni Sessanta (alla Bevilacqua La Masa, alla Galleria Il Traghetto, alla Galleria del Cavallino), e si sono succedute con regolarità nei decenni successivi; dal 2003 ha affiancato, alla sua attività principale, quella di docente dei linguaggi video a Ca' Foscari, ed è da tempo uno degli animatori della redazione del periodico Nexus nonché stretto collaboratore di Supernova, la casa editrice fondata da Giovanni Di Stefano, per la quale sono uscite le sue ultime pubblicazioni.
Considerando quanto Sartorelli sia attento alla riflessione sul proprio fare, anche il tono e lo stile della sua scrittura possono essere spie rivelatrici per comprenderne l'itinerario artistico. La pagina oscilla fra il tono analitico tipico del saggio e quello meno distaccato e più partecipato di un'autobiografia d'artista. Un'oscillazione che è in fondo assai indicativa di una costante ricerca di equilibrio fra l'irriducibile componente individuale e l'approccio razionale alle questioni del rapporto fra arte e realtà. Il lavoro di Sartorelli, caratterizzato dal costante ricorso ai mezzi 'freddi' di riproduzione dell'immagine (fotografia e xerografia in particolare), privilegia la tecnica del collage, utilizzando tasselli predeterminati di immagini come se fossero gli elementi di un gioco combinatorio. Il lavoro risente di ascendenze neoplastiche e costruttiviste che hanno privilegiato, rispetto alla espressività dell'object trouvè dadaista, la costante presenza di una griglia ortogonale in grado di 'incasellare' i frammenti in un nuovo ordito interpretativo.
Il passaggio concettuale che ha contraddistinto, sotto diverse latitudini, la ricerca negli anni Settanta, trova eco puntuale anche nell'artista veneziano: il fare arte diventa una riflessione sulle modalità di interazione con lo spazio sociale e in particolare con l'osservazione/rappresentazione di quel ampio contesto del vivere comune che è la città. Quest'ultima è il luogo per eccellenza da decifrare, interpretare, rappresentare.
L'analisi degli strati di immagini della città, il suo essere costituita da un complesso sistema di segni che provengono tanto dalla storia quanto dalla condizione contemporanea, è ciò che anima la ricerca dell'artista fin da Il segno urbano (1977) o Ipotesi di lettura urbana (1979). Ma è a partire dalla metà degli anni Ottanta che l'analisi dello spazio urbano viene restituita come 'quadro': un'unica superficie continua, rigorosamente bidimensionale, dove vengono ricombinati dettagli tratti dal vasto repertorio di segni che si addensano nello spazio della polis.
Nascono così le serie dei ritratti di città grazie al mettere assieme, sempre con la tecnica del collage e della fotocopiatura, elementi anche di poca o nulla rilevanza, ma la cui scelta, gli accostamenti che suggeriscono e la ripetizione dei motivi selezionati restituiscono con efficacia una sorta di sintesi visiva dello spazio urbano e delle sue trasformazioni.
Berlino, Strasburgo, Parigi, Madrid, fino ai più recenti 'anagrammi visivi' di Non è più necessario dire dove, o delle varianti di Babel: questi sono i materiali di una esposizione, al Centro Culturale Candiani, che si configura di fatto come una rara proposta di respiro per poter accostarsi in maniera esaustiva alle visioni urbane recenti e meno recenti dell'artista veneziano.
Riccardo Caldura
Testo e immagini tratti dal comunicato stampa ufficiale.
I campi contrassegnati con l'asterisco sono obbligatori.